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NDE – howard storm

Ultimo Aggiornamento: 07/07/2014 17:37
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28/02/2013 18:13
 
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Parte I
Prima della sua NDE, Howard Storm, insegnante d'arte all'Università del Kentuchy, non era una persona molto gradevole. Ateo dichiarato, ostile a qualsiasi forma di religione ed a coloro che la praticavano, spesso usava la collera per controllare gli altri. Non aveva fede in nulla che non potesse essere visto, toccato o sentito con i sensi. Era assolutamente certo che il mondo materiale rappresentasse tutto ciò che potesse esistere. Considerava i sistemi di fede associati alle religioni come fantasie utilizzate dalle persone per autoingannarsi. Al di là di ciò che diceva la scienza, non c'era altro.

Nel giugno 1985, all'età di 38 anni, Storm ebbe una NDE in conseguenza di una perforazione allo stomaco e la sua vita cambiò per sempre. Questo cambiamento fu così radicale da indurlo a dare le dimissioni dalla sua attività di professore ed a dedicarsi allo studio della teologia presso un seminario, fino a diventare pastore della United Church of Christ. Il racconto che segue è tratto dal libro di Storm My Descent into Death non tradotto in italiano (Tratto da near-death.com).

1 – Un invito verso l'inferno

(Howard Storm era in intensa agonia e stava morendo). Nello sforzo di dire addio a mia moglie, stavo lottando con le mie emozioni. Averle detto che l'amavo tanto era l'ultimo saluto che ero riuscito a darle a causa della mia angoscia emotiva. Rilassandomi in qualche modo e chiudendo gli occhi restai in attesa della fine. Sentivo che si approssimava: ecco il grande nulla, il grande blackout. quello da cui non mi sarei più risvegliato, la fine dell'esistenza. Avevo l'assoluta certezza che non vi era nulla al di là di questa vita, perché era così che la pensavano le persone realmente intelligenti. Mentre mi trovavo in questo stato di tensione, non mi passò mai per la mente l'idea di pregare, o cose del genere. Se mai pensai al nome di Dio, fu solo con intento blasfemo.

Per qualche tempo restai in uno stato di incoscienza o di sonno. Non sono sicuro di quanto sia durato, ma mi sentivo davvero strano, così aprii gli occhi. Con mia sorpresa mi ritrovai in piedi accanto al letto, mentre guardavo il mio corpo disteso nel letto. La mia prima reazione fu: "È pazzesco! Non posso star qui a guardare me stesso. È impossibile". Non era ciò che mi aspettavo, non era vero. Come mai ero ancora vivo? Io volevo l'oblio, ed adesso stavo osservando qualcosa che era il mio corpo, e non riuscivo a raccapezzarmi.

Non sapendo cosa succedeva, cominciai a preoccuparmi. Mi misi a gridare e ad urlare a mia moglie, che non si mosse, continuando a star seduta come impietrita. Non mi guardava, non si muoveva, mentre io continuavo ad urlare frasi blasfeme per attirare la sua attenzione. Confuso, preoccupato ed arrabbiato, cercai di farmi notare dal mio compagno di stanza, con lo stesso risultato: non reagì per niente. Volevo credere che si trattasse solo di un sogno, e continuavo a ripetermi: "Dev'essere solo un sogno". Ma sapevo che non era un sogno. Ero consapevole che, per quanto strano potesse sembrare, mi sentivo più sveglio, più cosciente e più vivo di quanto non fossi mai stato in tutta la mia vita. Tutti i miei sensi erano estremamente acuti. Ogni cosa era vibrante e viva. Il pavimento era freddo e sentivo i miei piedi nudi umidi per il sudore. Questo era reale. Strinsi i pugni e mi meravigliai di quanta sensibilità avessi nelle mie mani semplicemente chiudendole a pugno.

Poi sentii il mio nome. Qualcuno chiamava "Howard, Howard, vieni qui". Mi chiesi da dove provenisse il richiamo, e scoprii che veniva da oltre la porta della stanza. C'erano diverse voci che mi chiamavano. Domandai chi erano, e dissero: "Siamo qui per prenderci cura di te. Ti rimetteremo a posto. Vieni con noi". Interrogandomi ancora su chi fossero, domadai loro se erano medici o infermiere. Risposero: "Presto, vieni a vedere, e lo scoprirai". Quando facevo loro delle domande, mi davano risposte evasive. Continuavano a trasmettermi un senso di urgenza, insistendo affinché andassi oltre la porta.

Con una certa riluttanza, avanzai nel corridoio, e lì mi ritrovai in una nebbia, come una foschia. Era una foschia leggermente colorata, non densa. Potevo vedere la mia mano, per esempio, ma quelli che mi chiamavano erano 5 o 6 metri più avanti, e non riuscivo a distinguerli chiaramente. Sembravano delle silhouettes o delle sagome, e quando andavo verso di loro si ritraevano nella foschia. Quando provai ad avvicinarmi per identificarli, penetrarono rapidamente nella nebbia. Così anch'io li seguivo addentrandomi sempre più nella foschia.

Queste strane creature continuavano a sollecitarmi affinché andassi con loro. Più volte chiesi loro dove fossimo diretti, e rispondevano: "Avanti, coraggio, lo scoprirai da te". Non rispondevano a nessuna domanda. L'unica risposta era di affrettarmi e di seguirli. Mi dessero più volte che il mio dolore era senza senso e non necessario: "Il dolore è un'idiozia" dicevano.

Sapevo che avevamo percorso chilometri, ma di quando in quando avevo la strana abilità di voltarmi indietro e di vedere la camera dell'ospedale. Il mio corpo era ancora là, immobile nel letto. Il mio punto di vista, in queste occasioni, era come se stessi fluttuando al di sopra della stanza, guardando verso il basso. Mi sembrava di essere a milioni e milioni di chilometri di distanza. Guardando giù nella stanza, vidi mia moglie ed il mio vicino di letto, e decisi che, siccome essi non erano stati in grado di aiutarmi, sarei andato con quelli che mi chiamavano.

Dopo aver percorso quella che mi sombrava una considerevole distanza, questi esseri mi furono tutt'intorno. Mi stavano conducendo attraverso la nebbia, non saprei dire per quanto tempo. Sulle prime sembravano piuttosto giocosi ed allegri, ma dopo qualche tempo alcuni cominciarono a comportarsi in modo aggressivo. Più io mi mostravo inquisivo e sospettoso, più essi diventavano rudi, scontrosi ed autoritari. Cominciarono a scherzare sul mio sedere nudo, che il grembiale dell'ospedale non riusciva a coprire, e su quanto fossi patetico, Sapevo che stavano parlando di me, ma se cercavo di scoprire di cosa esattamente stessero parlando cominciavano a dire: "Shhhh, può sentirti, può sentirti". Inoltre, gli altri sembravano mettere in guardia quelli più aggressivi. Mi sembrava di riuscire a sentirli avvisare gli aggressivi di stare attenti, altrimenti mi sarei spaventato e sarei scappato via.

Chiedendomi cosa stesse accadendo continuai a porre domande, ed essi mi sollecitavano sempre più ad affrettarmi ed a smetterla di far domande. Sentendomi a disagio, specialmente di fronte alla loro aggressività, pensai di tornare indietro, ma non sapevo ritrovare la strada: mi ero perso. Non vi erano segnali di sorta cui fare riferimento. Non c'era altro che la nebbia ed il terreno umido e fangoso, ed io non riuscivo ad orientarmi.
Tutte le mie comunicazioni con quegli esseri si svolgevano a parole, proprio come quelle tra gli esseri umani. Non sembrava che potessero conoscere i miei pensieri, né io conoscevo i loro. Ciò che cominciava ad essere sempre più evidente era il fatto che si trattava di bugiardi, e più stavo con loro più le mie speranze di ricevere aiuto diminuivano. Ore prima avevo sperato di morire e di por fine al tormento della vita. Adesso le cose andavano anche peggio, costretto com'ero da quella folla di creature ostili e crudeli ad andare verso un'ignota destinazione nelle tenebre. Essi cominciarono a gridare e ad insultarmi, spingendomi a farre più in fretta, e rifiutarono di rispondere alle mie domande.

Alla fine, dissi loro che non sarei più andato avanti. Diventarono allora molto più aggressivi, insistendo che dovevo andare ccon loro. Un certo numero di loro cominciò a spingermi e ad urtarmi, ed in risposta io reagii. Ne seguì un tumulto selvaggio di insulti, grida e percosse. Io lottai come un ossesso, e nello stesso tempo era ovvio che loro si stavano divertendo. Sembrava che per loro fosse una specie di gioco, e che io fossi il pezzo forte del loro divertimento. La mia pena diventava il loro piacere. Sembrava che mi volessero far del male, mordendomi e graffiandomi. Appena riuscivo a liberarmi di uno, altri cinque mi assalivano.

A quel punto si era fatto quasi completamente buio, e mi sembrava che invece di venti o trenta, quegli esseri fossero diventati un'orda. Ognuno sembrava pronto a farsi avanti per il piacere di farmi del male. I miei tentativi di reagire provocavano solo una maggiore allegria. Cominciarono ad umiliarmi fisicamente nei modi più degradanti. Mentre io continuavo a battermi, mi rendevo conto che non avevano alcuna fretta di farla finita con me. Stavano giocando come il gatto col topo. Ogni nuovo assalto era annunciato da ululati stridenti. Ad un certo punto cominciarono a strappare brandelli della mia carne. Con orrore compresi che mi stavano facendo a pezzi e divorando vivo, lentamente, in modo che il loro divertimento potesse durare il più a lungo possibile.

In nessun momento ebbi la sensazione che gli esseri che mi avevano ingannato ed attaccato fossero altro che esseri umani. Il modo migliore nel quale li posso descrivere è pensare alla peggiore persona che si possa immaginare spogliata di qualsiasi impulso a fare il bene. Alcuni di loro sembravano in grado di dire agli altri cosa fare, ma non riuscii a scorgere alcuna struttura gerarchica o organizzativa al loro interno. Non sembravano controllati o diretti da nessuno. In definitiva erano un'orda di esseri totalmente in preda di incontrollabili crudeltà e passioni. Nel corso della nostra lotta mi accorsi che non sentivano alcun dolore. A parte questo, non mi sembrava che possedessero alcuna speciale abilità extraumana o superumana. Sebbene durante il mio iniziale approccio avessi dato per scontato che fossero vestiti, durante i nostri contatti fisici non incontrai vestiti di sorta.

Dopo aver combattuto a lungo e duramente, alla fine ero esausto. Mentre giacevo senza forze in mezzo a loro, cominciarono a calmarsi, dato che non rappresentavo più quel sollazzo di prima. La maggior parte di quelle creature si ritirò delusa per il fatto che non li divertissi più, ma alcuni continuavano a punzecchiarmi e ad irritarmi, e mi prendevano in giro perché non ero più divertente. A questo punto ero stato sconfitto. Di quando in quando mi colpivano ancora, ma io ero a pezzi, incapace di opporre resistenza.

Ciò che accadde esattamente fu… non tenterò nemmeno di spiegarlo: dentro di me sentii una voce, la mia voce, dire "Prega Dio". La mia mente rispose: "Io non prego. Io non so pregare". Ecco un tizio che giace a terra nell'oscurità, circondato da quel che sembrano dozzine se non centinaia di creature malefiche che lo hanno appena fatto a pezzi. La situazione sembrava del tutto senza vie di scampo, ed io non avevo alcuna speranza di ricevere aiuto, credessi o meno in Dio. La voce di nuovo mi disse di pregare Dio. Era un bel dilemma dato che non sapevo come pregare. Per la terza volta la voce mi disse di pregare. Allora cominciai a dire cose come "Il Signore è il mio pastore, ed io non voglio… Dio benedica l'America" ed altre cose del genere che mi sembrava avessero qualche connotazione religiosa.

Tutte quelle creature cominciarono ad agitarsi freneticamente, come se avessi versato su di loro dell'olio bollente. Cominciarono a gridare e a dare in escandescenze nei miei confronti, dicendo di smetterla, che non c'era alcun dio, e nessuno che potesse ascoltarmi. Mentre gridavano ed urlavano oscenità, cominciarono ad indietreggiare e ad allontanarsi da me, come se fossi velenoso. Mentre si ritiravano, diventavano ancor più rabbiosi, maledicendomi e gridando che quel che dicevo non aveva alcun valore e che io ero un vigliacco.

Allora gridai verso di loro: "Padre nostro, che sei nei cieli", e frasi del genere. Questo continuò per qualche tempo finché, d'improvviso, mi accorsi che se n'erano andati. Era buio, ed io ero lì da solo, gridando cose che sapevano di chiesa. Fu per me una gradita sorpresa vedere che queste frasi da chiesa avevano avuto la meglio su quelle orribili creature. Dopo aver giaciuto lì a lungo, ero in un tale stato di disperazione, di angoscia e di oscurità, che non avevo la minima idea di quanto tempo fosse trascorso. Giacevo semplicemente in quel luogo sconosciuto, dopo esser stato sbranato e fatto a pezzi. Non avevo un briciolo di forza: le forze mi avevano abbandonato. Sembrava come se fossi in uno stato di dissolvenza, che qualsiasi sforzo da parte mia avrebbe drenato completamente le mie energie. La mia consapevolezza mi diceva che stavo morendo, o affondando nelle tenebre.

2 – Salvato da un Essere di luce

Non sapevo nemmeno se ero al mondo. Ma sapevo di esserci. Ero reale: tutti i miei sensi funzionavano troppo dolorosamente bene. Non sapevo com'ero arrivato laggiù. Non c'era nessuna direzione da seguire, quand'anche fossi stato in grado di muovermi fisicamente. L'agonia che avevo sofferto durante il giorno (all'ospedale) non era nulla paragonata a quello che stavo provando adesso. Ora capivo che quella era la fine assoluta della mia esistenza, e mi sembrava più orribile di qualsiasi cosa avessi mai potuto immaginare. Ma poi accadde un fatto sconcertante: udii molto chiaramente, recitato dalla mia voce, qualcosa che avevo appreso da bambino alla scuola domenicale. Era quella canzoncina "Gesù mi ama, sì lo so…" che veniva ripetuta. Non so perché, ma d'improvviso mi venne voglia di crederci. Non essendomi rimasto nient'altro, volevo aggrapparmi a quel pensiero, e così, dentro di me, gridai "Gesù, per favore, salvami". Fu un pensiero gridato con ogni residua oncia di forza e di sentimento che ancora mi restava.

Allora vidi, laggiù da qualche parte nelle tenebre, una minuscola stellina. Non sapendo cosa fosse, immaginai che si trattasse di una cometa o di una meteora, dato che si muoveva rapidamente. Poi compresi che si dirigeva verso di me, diventando rapidamente sempre più brillante.

Quando mi fu vicina, la luce si riversò su di me, ed io mi alzai senza alcuno sforzo, come se fossi tirato su. Allora potei vedere senza alcun dubbio come tutte le mie ferite, tutte le mie lacrime, tutte le mie fratture erano svanite. Ed in quello splendore io tornai intero. Quello che feci fu scoppiare in un pianto dirotto. E piangevo non perché mi sentissi triste, ma perché sentivo in me cose che non avevo mai sentito prima nella mia vita.
Accadde un'altra cosa: d'improvviso seppi un intero nucleo di cose. Le sapevo… Sapevo che quella luce radiosa mi conosceva. Non so come spiegarvi il fatto che sapevo che mi conosceva: lo sapevo e basta. Senza dubbio, sapevo che mi conosceva meglio di mia madre e di mio padre. L'entità luminosa che mi abbracciava mi conosceva nell'intimo e cominciò a comunicarmi un formidabile senso di conoscenza. Sapevo che conosceva tutto di me e che ero incondizionatamente amato ed accettato. La luce mi comunicava che mi amava in un modo che non posso neanche tentare di esprimere. Mi amava di una qualità di amore che non avrei neanche immaginato potesse esistere. Era un campo intenso di energia radiante di splendore indescrivibile, in cui si riconoscevano solo bontà ed amore. C'era più amore di quanto non riuscissi ad immaginare.

Capivo che questo essere radiante era pieno di potere. Mi faceva sentire benissimo in ogni senso. Potevo sentire la sua luce su di me, come se delle mani molto gentili mi circondassero. E potevo sentire che mi sosteneva. Ma soprattutto mi amava di un amore straboccante. Dopo tutto quello che avevo passato, l'essere completamente conosciuto, accettato ed amato intensamente da questo Essere di luce andava oltre qualsiasi cosa io avessi mai conosciuto o potuto immaginare. Cominciai a piangere e le lacrime continuavano a sgorgare sempre più copiose. E noi, io e l'essere di luce, cominciammo a salire allontanandoci da quel luogo. Andavamo sempre più veloci, uscendo dall'oscurità. Abbracciato dalla luce, sentendomi magnificamente e piangendo, cominciai a scorgere in lontananza qualcosa che somigliava alla fotografia di una galassia, sebbene fosse più grande e contenesse più stelle di quante se ne vedono dalla Terra. Al centro c'era un grande splendore, una concentrazione di luce enormemente brillante. All'esterno del centro milioni di sfere di luce fluttuavano, entrando ed uscendo da quella che era la grande presenza nel centro. Tutto avveniva in lontananza.

Allora… non che lo dicessi a parole, ma col pensiero, io dissi "Riportami indietro". Ciò che intendevo, dicendo alla luce di riportarmi indietro, era di riportarmi nel pozzo oscuro dal quale ero stato salvato. Mi vergognavo talmente di ciò che ero, e di quello che ero stato per tutta la vita, che tutto ciò che volevo era nascondermi nell'oscurità. Non volevo più andare oltre verso la luce: cioè lo desideravo, e nello stesso tempo non lo volevo. Quante volte nella mia vita avevo negato e ridicolizzato la realtà che ora era davanti a me, e quante migliaia di volte l'avevo usata come un'imprecazione! Quale incredibile arroganza dell'intelletto usare quel nome come un insulto! Avevo timore di avvicinarmi. Ero inoltre consapevole che l'incredibile intensità delle emanazioni potesse disintegrare quello che ancora stavo sperimentando come l'integrità del mio corpo fisico.

L'essere che mi stava sostenendo, il mio amico, conosceva la mia paura, la mia reluttanza e la mia vergogna. Per la prima volta parlò alla mia mente con una voce maschile, e disse che se non mi sentivo a mio agio non era necessario che ci avvicinassimo di più. Così ci fermammo lì dove eravamo, ancora lontani innumerevoli chilometri dal grande Essere. Per la prima volta il mio amico, ed io lo chiamerò così d'ora in avanti, mi disse: "Tu appartieni a questo luogo".

Di fronte a tutto quello splendore divenni acutamente consapevole della mia misera condizione. La mia risposta fu: "No, hai fatto un errore, rimandami indietro". E lui disse: "Noi non facciamo errori. Questo è il tuo posto". Allora lanciò un richiamo con un tono di voce musicale verso le entità luminose che circondavano il grande centro. Molte accorsero e si posero in cerchio attorno a noi. Nel periodo seguente alcune andavano e venivano, ma in genere cinque o sei, ed in certi casi anche otto, restavano sempre accanto a noi. Io continuavo a piangere. Una delle prime cose che questi esseri meravigliosi fecero fu di chiedermi, sempre col pensiero: "Hai paura di noi?". Dissi loro di no. Essi dissero che potevano ridurre la loro luminosità in modo da apparirmi come persone, ed io risposi di restare così com'erano. Essi erano così belli, così…

Per inciso, io sono un artista, e so che ci sono tre colori primari, tre colori composti e sei colori derivati nello spettro della luce visibile. In quel luogo, io stavo vedendo uno spettro di luce con almeno 80 nuovi colori primari. Ne percepivo anche lo splendore. È frustrante per me tentare di descriverlo, perché non ci riesco: vedevo colori che non avevo mai visto prima. Ciò che quegli esseri mi mostravano era la loro gloria. Non stavo guardando direttamente la loro essenza, e ne ero perfettamente contento. Poiché provenivo da un mondo di forme e figure, ero deliziato da questo nuovo mondo senza forme. Gli esserii mi stavano dando ciò di cui avevo bisogno in quel momento. Con mia sorpresa, ed anche con un senso di disagio, mi accorsi che sembravano capaci di conoscere qualsiasi cosa stessi pensando. Non sapevo se sarei stato in grado di controllare i miei pensieri e di mantenere segreto qualcosa.

Iniziammo a cimentarci nello scambio dei pensieri, in una conversazione che procedeva in modo molto naturale, semplice e casuale. Udivo la voce di ciascuno di loro con molta chiarezza. Ognuno aveva una distinta personalità con la propria voce, ma parlavano direttamente alla mia mente, non alle mie orecchie. Ed usavano la normale lingua inglese in forma colloquiale. Qualsiasi cosa pensassi, la sapevano. Tutti loro sembravano conoscermi e capirmi molto bene, e di avere piena familiarità con i miei pensieri e col mio passato. Non sentivo alcun desiderio di chiedere di qualcuno che avessi conosciuto, perché tutti loro mi conoscevano. Nessuno avrebbe potuto conoscermi meglio. Non mi passò nemmeno per la mente di tentare di identificarli come mio zio o mio nonno. Era come se voi vi trovaste ad un grande raduno di parenti per Natale, senza essere in grado di ricordare i loro nomi o con chi sono sposati o in che relazione di parentela sono con voi. Nonostante ciò, sapete di essere con la vostra famiglia. Io non sapevo se essi fossero o meno miei parenti, ma sentivo che erano più vicini a me di chiunque altro avessi mai conosciuto.

Durante la mia conversazione con gli esseri luminosi, che si protrasse per quello che mi sembrò un tempo lunghissimo, io ero fisicamente sostenuto dall'essere nel quale ero stato avvolto. Eravamo in un certo senso completamente fermi, sebbene fossimo sospesi nello spazio. Ovunque intorno a noi c'erano innumerevoli esseri radiosi. come stelle nel cielo, che andavano e venivano. Era come un super ingrandimento di una galassia piena zeppa di stelle, e il gigantesco splendore del suo centro era così densamente fitto che i singoli individui non potevano essere distinti l'uno dall'altro. Le loro entità erano in tale armonia col Creatore da sembrare in realtà una cosa sola.

Mi fu detto che una delle ragioni per cui tutti quegli innumerevoli esseri dovevano tornare indietro alla loro sorgente era di essere rinvigoriti da questo senso di armonia e di unificazione. Restare lontano troppo a lungo li indeboliva e li faceva sentire separati. Il piacere più grande era costituito dal tornare alle sorgenti di ogni vita.

La nostra conversazione iniziale comportava che essi semplicemente cercassero di confortarmi. Una cosa che mi dava fastidio era il fatto di essere nudo. Da qualche parte nell'oscurità avevo perduto il mio camice ospedaliero. Ero un essere umano ed avevo un corpo. Mi dissero che andava tutto bene, e che loro avevano piena confidenza con la mia anatomia. Pian piano mi rilassai e smisi di cercare di coprire le parti intime con le mani. In seguito, vollero parlare dellla mia vita. Con mia sorpresa la mia vita stava andando in scena davanti a me, a circa due o tre metri di distanza, dall'inizio alla fine. La revisione della vita era quasi del tutto sotto il loro controllo, e mi veniva mostrata secondo un punto di vista diverso dal mio. Vedevo me stesso all'interno della mia vita, e questo fatto in sé rappresentava per me una lezione, anche se al momento non ne ero consapevole. Stavano cercando di insegnarmi qualcosa, ma io non sapevo che si trattasse di un'esperienza di apprendimento, perché non immaginavo che sarei ritornato.

Osservammo la mia vita dal principio alla fine. In certi punti essi rallentavano ed ingrandivano le immagini, mentre in altre parti tiravano via. La mia vita mi veniva mostrata in un modo che non avrei mai immaginato prima: tutte le cose per ottenere le quali mi ero impegnato ed affaticato, i riconoscimenti che avevo conseguito nelle scuole elementari, al liceo, all'università e nel corso della mia carriera non avevano alcun valore in quel palcoscenico. Potevo percepire i loro sentimenti di tristezza e di sofferenza, o di gioia, mentre la revisione della mia vita scorreva davanti a noi. Essi non dicevano che qualcosa era buono o cattivo, ma io potevo sentirlo. E potevo anche sentire tutte quelle cose alle quali erano indifferenti. Per esempio, non fecero alcun caso agli ottimi risultati delle mie gare sportive al liceo. Semplicemente non provavano niente al riguardo, così come nei confronti di altre cose di cui io mi ero sentito molto orgoglioso.

Ciò a cui reagivano era il modo in cui avevo interagito con altre persone. Questo stava alla base di tutto. Sfortunatamente, la maggior parte delle mie interazioni con gli altri non erano adeguate al modo in cui avrei dovuto interagire, vale a dire con amore. Ogni volta in cui nella mia vita avevo reagito con amore essi mostravano grande gioia. Nella maggior parte dei casi mi accorsi che le mie interazioni con altre persone erano state opportunistiche. Durante la mia carriera professionale, per esempio, mi vidi seduto nel mio ufficio, recitando il ruolo del professore del college, mentre uno studente era venuto da me per parlarmi di un suo problema personale. Stavo là seduto con aria di partecipazione, in atteggiamento paziente ed amabile, mentre dentro di me ero annoiato a morte. Guardavo spesso il mio orologio da polso, sotto la scrivania, mentre aspettavo con impazienza che lo studente se ne andasse. Dovetti rivivere tutte quelle esperienze in compagnia di quegli esseri magnifici.

Quando ero un adolescente mio padre, per esigenze di carriera, dovette assoggettarsi ad un ritmo di lavoro molto stressante per 12 ore al giorno. Amareggiato e risentito perché non si occupava di me quando tornava a casa dal lavoro, mi mostravo freddo e scostante nei suoi confronti. Questo lo faceva arrabbiare, e mi dava ulteriore motivo per detestarlo. Lui ed io litigavamo, e mia madre diventava sempre più infelice. Per quasi tutta la vita avevo considerato mio padre come il cattivo e me stesso come la vittima. Quando ripassai la mia vita mi toccò constatare che io stesso avevo contribuito a che le cose andassero così. Anziché salutarlo con gioia alla fine di una dura giornata, lo punzecchiavo continuamente, per giustificare il mio risentimento.

Mi capitò di rivedermi, una notte in cui mia sorella aveva passato un brutto momento, andare nella sua stanza ed abbracciarla. Senza dire nulla, stavo semplicemente là con le mie braccia intorno a lei. Come poi risultò, quell'esperienza era stata uno dei maggiori trionfi della mia vita.

Segue II parte
[Modificato da francocoladarci 07/07/2014 17:37]

“Quando si vuol cercare la verità su una questione
bisogna cominciare col il dubbio.
(S. Tommaso d’Aquino)”

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