sull'impossibilità del laicismo

Nichilista errante
00venerdì 21 aprile 2006 23:38
Questo è un mio articolo di giornale che nasce come risposta ad un articolo di Magris sul Corriere della Sera. che ha come argomento il laico ed i laiscismo. ne riporto l'incipit:
"Laico è chi sa aderire ad un idea senza restarne succube, impegnarsi politicamente conservando l'indipendenza critica, ridere e sorridere di ciò che ama continuando ad amarlo; chi è libero dal bisogno di idolatrare e dissacrare, chi non la dà a bere a sè stesso trovando mille giustificazioni ideologiche per le proprie mancanze, chi è libero dal culto di sè."

Ecco la mia risposta:

Qualche anno fa, fra le pagine del “corrierone”, apparve un articolo di Claudio Magris, che rifletteva (meglio dire pontificava) sull’essere laici, sul significato politico e morale di tale posizione. Credo non a caso il giornalista abbia pubblicato l’articolo in questione sul “Corriere della sera”, quotidiano della borghesia industriosa ed industriale lombarda, tradizionalmente liberale e liberalista, cattolica moderata ed attenta che i dettami religiosi non pregiudicassero i propri traffici. Del resto i cattolici laici non sono mai mancati in Italia, hanno avuto e hanno tuttora un’influenza decisiva sulla formazione della pubblica opinione, basti ricordare due nomi storici: Cesare Beccaria e Pietro Verri. Nell’articolo Magris consapevole del prestigioso background culturale nel quale si inserisce, dipinge come modello del laico contemporaneo ideale una sorta di Voltaire italico, intimamente illuminista ed anti-dogmatico, che irride ogni sorta di fanatismo (sia esso religioso o ideologico) in nome della libertà di pensiero e dell’eterna perfettibilità dell’essere umano. Magris in questa suo ritratto non privo di fascino, consapevole del target del suo giornale, sembra mano a mano che procede nel suo descrivere, strizzare l’occhio e dare una pacca sulla spalla al suo lettore tipo, dicendogli quasi “noi sì che siamo un baluardo incrollabile contro gli stupidi estremismi”. Immagino che il lettore del nostro, persona di media cultura e pragmatico con una spruzzata d’idealismo, capisca benissimo il giudizio sottointeso nell’articolo e dopo la lettura si senta bene con sé stesso, soddisfatto d’essere identico al cittadino ideale tratteggiato dal giornalista. Purtroppo noi, al contrario di Magris, non consideriamo scopo del nostro scrivere vezzeggiare il lettore, bensì urtarlo con tesi forti ed argomentate e portarlo a riflettere sulla realtà che lo circonda.
Laici non ne esistono e non sono mai esistiti. Affermazione provocatoria? Non crediamo, alla luce di tesi apparse nel primo ‘900 e troppo spesso ignorate, perché difficilmente confutabili, ci riferiamo ovviamente al classico di Max Weber “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”. Il nostro lettore di certo conoscerà a mena dito le tesi esposte dal sociologo tedesco nel suo capolavoro, e saprà benissimo che ciò che più conta nel saggio del tedesco è ciò che rimane sottointeso e sfiorato, più che ciò che viene spiegato ed argomentato. Riprendiamo per comodità la tesi portante dell’intero lavoro di Weber: il capitalismo e la sua mentalità sono la realizzazione delle idee teologiche calviniste e luterane; la nostra società apparentemente laica, positivista e progressista non è che il risultato della secolarizzazione dei “deliri mistici” di un monaco fallito ed i un teologo inferocito. E Magris (ed il suo lettore ideale che qui attacchiamo) ci diranno “sì, ma l’illuminismo ha attaccato e demolito tutto ciò, e Cavour fortunatamente ha nettamente separato politica e chiesa”. Non possiamo esimerci a controbattere a tali sicure e rassicuranti argomentazioni: l’illuminismo e tutti i suoi figliocci idolatri dell’indipendenza della ragione sono figli diretti e un pochino scapestrati del protestantesimo, e Cavour ha sì separato l’istituzione chiesa dall’istituzione stato, ma non ha mai eliminato la decisiva influenza morale cattolica da tutte le leggi e le attività dello stato unitario italiano. Al contrario di Magris noi ci riteniamo in dovere di portare argomentazioni ed analisi storiche a supporto del nostro “pontificare”, per cui il lettore ci scuserà se svestiremo i panni dei giornalisti e ci abbiglieremo delle vesti degli storici e genealologi delle ideologie. L’idea di laicismo e laico nascono con l’illuminismo, diffondendosi con la rivoluzione francese e le conquiste napoleoniche in tutto il continente Europeo. Il laicismo è nato come netta contrapposizione ideologica alle guerre religiose che protestantesimo e cattolicesimo stavano conducendo i tutta Europa, guerre morali che spesso degeneravano in conflitti armati, alle quali sembrava non esserci fine (le forze contrapposte erano difatti di pari forza e tenacia). Davanti alle terrificanti carneficine che questi scontri religiosi provocavano, una minoranza di intellettuali inglesi e francesi di formazione sia cattolica che protestante, capirono che l’unico modo per porre termine allo spargimento di sangue era appellarsi ad un ideale terzo e super partes, che riunisse e superasse le due chiese contrapposte, ed identificarono tale deus ex machina nella Ragione. La Ragione, sebbene fosse presentata dagli innovatori illuministi come una nuova dea, non era altro che un arma dialettica utilizzata nei precedenti sconti teologici da intellettuali schierati per l’una o l’altra chiesa per ridicolizzare e bollare come superstizione le credenze dell’avversario. La geniale idea degli illuministi fu isolare la ratio, svincolarla dalle sue origini e funzioni teologiche,e proporla come indipendente patrimonio di tutti gli uomini, di qualunque confessione essi fossero. Il trucco già allora parve sospetto, tuttavia trovò consenso fra le fila della classe borghese, che identifico nelle teorie illuministe una risposta ai sui bisogni ed alle sue rivendicazioni, nonché una corrispondenza apparentemente banale e prosaica ad un quotidiano fatto di vita: il denaro frutto dei commerci, che provenisse da un ebreo, un protestante o un cattolico non ne risultava marchiato o inficiato nel suo valore!
Cavour, padre politico e spirituale dello stato unitario (ancora oggi la sua eredità non è affatto tramontata), figlio di questa mentalità ne riprese gli ideali e li adattò alla situazione italiana: convinto che l’influenza morale della chiesa cattolica non potesse essere combattuta sul suo stesso piano (combattuta cioè con la fede nella patria e nella sua missione), da abile e lungimirante manovratore qual’era non fece che separare l’istituzione stato dall’istituzione chiesa, evitando che le gerarchie delle due istituzioni si fondessero e confondessero ma non che le ideologie della chiesa penetrassero e permeassero tutta l’attività legislativa dello stato unitario. La legislazione italiana ancora oggi difatti, nonostante fascismo e comunismo, se letta attentamente non è che un adattamento secolare della legge canonica ecclesiastica, dando ragione alla celebre asserzione del giurista tedesco Karl Schmitt “tutte le legislazioni moderne non sono che la secolarizzazione del canone dell’ecclesia”. Ed il laicismo dunque dove sarebbe? Chi sarebbe il laico? È mai esistito un laico? Crediamo di aver risposto a queste domande, seppur approssimativamente ed insufficientemente, al contrario di Magris che le ha eluse così come le eludono costantemente la gran parte dei politici italiani che oggi si pavoneggiano di essere laici.
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