Assassinati dalla banda di Renato Vallanzasca
In Dalmine (BG), il 6 febbraio 1977
La segatura insanguinata
Il traffico cominciò a rallentare, ma in auto quasi non ce ne accorgemmo. Eravamo troppo impegnati a discutere della partita, della prova dei singoli, dell’arbitro. Avevamo perso e come sempre si cercavano attenuanti.
Ma una volta in vista di Dalmine la conversazione si bloccò. Ci incuriosì il gran numero di persone accalcate alla rete, ferma sulle corsie e sui prati dello svincolo e, soprattutto, ci stupì la nutrita presenza di uomini delle forze dell’ordine e tra loro diversi ufficiali. Si notavano subito: il pallido sole invernale rimbalzava sulle stellette, sui bottoni e sugli alamari arabescati.
“Ci sarà stato un incidente?” fu il primo commento.
Ma c’era qualcosa di strano, qualcosa di troppo per essere un “semplice” incidente stradale. C’era troppa gente e tutti quegli uomini in divisa. A quei tempi studiavo a Milano, in ‘Cattolica’, tutti i giorni facevo il pendolare e di incidenti stradali ne avevo visti tanti, troppi. Ma mai un simile assembramento di persone.
Ormai si procedeva a passo d’uomo e con lo sguardo frugavamo al di là delle persone per capire cosa fosse accaduto. Eravamo lontani, ma netta era la sensazione di essere piombati in mezzo a un dramma.
Da un improvviso varco apparve un mucchio di segatura rossa di sangue. Qualcuno lo stava rimuovendo con una ramazza. Quella vista durò qualche istante, poi venne inghiottita dalla “muraglia umana”. Il traffico riprese ad accelerare e in pochi minuti arrivammo a Bergamo.
In auto nessuno aveva più voglia di parlare. La partita, l’arbitro, il campionato, le polemiche sembravano appartenere ad un altro mondo. Quel flash era entrato in ciascuno di noi con una forza dirompente: non sapevamo cosa era accaduto eppure avevamo la sensazione che la falce della Morte si fosse abbattuta con inaudita crudeltà. Solo nel tardo pomeriggio un notiziario Rai raccontò
l’agguato a Luigi D’Andrea e Renato Barborini e la tragedia in cui erano precipitate le loro famiglie.
Quel mucchietto di segatura rossa non se n’è più andato dalla mia mente e ritorna ogni volta che un tutore dell’ordine cade nell’adempimento del dovere. E ogni volta grida l’ingiustizia della morte di persone che hanno scelto di mettere la propria vita al servizio di tutti.
Mino Carrara giornalista de ‘L’Eco di Bergamo’
da
Poliziotti.it