00 08/01/2006 19:04
L'UNITA'
8 gennaio 2006
Il giorno dopo
Furio Colombo

In questa vicenda si intrecciano non tanto affari e politica, quanto deliberata
confusione e sovrapposizione di inconciliabili realtà.
Lo sanno anche Cicchitto e Bondi. Che hanno il vantaggio di non avere una reputazione da difendere

«Solidarietà a Fassino. Dopo cinque anni di immoralità e illegalità di governo, grazie a certi fogli “garantisti”, ora il bandito sembra lui che, fino a prova contraria, non ha fatto nulla di disonesto. Certo, viene da sorridere pensando all’ostilità, anche dei vertici Diesse, verso i “demonizzatori” di Berlusconi. Mi piacerebbe che Fassino, dopo avere denunciato la strumentalizzazione della destra e l’offesa alle sue prerogative parlamentari, cogliesse l’occasione di questa rinnovata e lievemente sospetta attenzione verso “la questione morale”, per rilanciare, annunciando una svolta di etica pubblica (cosa diversa - occorre ridirlo? - dal codice penale). Proponga un severo e articolato codice etico che disciplini conflitti di interesse e di incompatibilità. Costringa gli avversari a misurarsi sul terreno delle regole anziché delle intercettazioni. Si potrebbe chiamarlo “Codice Sylos” in omaggio a un inascoltato demonizzatore».
Ho citato questa lettera, inviata giovedì scorso all’Unità da Piero Ricca, perché Ricca non è anziano militante ma un giovane girotondino che ha definito “buffone” il presidente del Consiglio, quando il re del conflitto di interessi aveva appena finito di deporre in uno dei suoi molti processi (ma si era trattato di un ennesimo comizio a reti unificate). Ricca lo ha fatto interpretando, con coraggiosa mitezza, l’opinione di tanti italiani umiliati e offesi.
Ma, soprattutto, la lettera di Ricca ci aiuta perché contiene i tre punti fondamentali per cui vale la pena di battersi, e per cui questo giornale si è battuto da quando è rinato a sostegno (magari non sempre capito e gradito) dei Ds e di tutta la sinistra.
Primo. In questa vicenda si intrecciano non tanto affari e politica, quanto deliberata confusione e sovrapposizione di inconciliabili realtà. Questa confusione è intensificata fino al parossismo da tutti i telegiornali in cui compare Fabrizio Cicchitto (avete letto bene: Fabrizio Cicchitto) che, con la sua storia, non sembra avere difficoltà a presentarsi come moralizzatore.

I lettori ricorderanno che questo giornale e il suo direttore sono stati immediatamente indicati come complici o mandanti di omicidio per avere indicato, una sola volta, in un solo titolo, la non benemerita associazione di cui Cicchitto ha fatto effettivamente parte (insieme a Silvio Berlusconi) prima di risorgere come vice di Bondi nella funzione di coordinatore di Forza Italia, il noto partito della legalità.
Ma offre la sua alta professionalità giornalistica anche Francesco Pionati, notista politico di punta del maggior telegiornale italiano, che dice senza imbarazzo: «Fassino respinge ogni addebito», come se ci fosse un addebito (cioè una imputazione contro Fassino) frase che, di per sé, meriterebbe querela, insieme al suo direttore.
Intanto passeggia fra le inquadrature, per tutto il tempo che vuole, il noto imputato Silvio Berlusconi, che - Dio sa perché - ci hanno raccomandato così spesso di non “demonizzare”. Berlusconi denuncia gli intrecci fra politica e affari. Ripeto. Berlusconi denuncia gli intrecci della sinistra fra politica e affari. E afferma (la sera del 5 gennaio, senza che segua contraddittorio): «Io non l’ho mai fatto e per questo ci ho anche perduto».
Qualunque telegiornale del mondo avrebbe, s’intende, raccolto la dichiarazione in quanto degna di attenzione e curiosità per la incredibile sfacciataggine. Ma qualunque telegiornale avrebbe fatto seguire i fatti veri. Il bilancio di Mediaset mostra moltiplicazioni vertiginose di profitti, anno di governo dopo anno di governo. La ricchezza personale del premier (tra le maggiori del mondo) appare triplicata in pochi anni.
Secondo. Il controllo delle comunicazioni - e dunque l’esplosione in tutta la sua virulenza illegale del conflitto di interesse - impedisce di accostarsi alle vicende che riguardano in questi giorni la sinistra e i Ds senza una forte spinta all'isterismo. È un isterismo indotto in tutti gli aspetti della vita italiana da una ferrea conduzione dei media che facilmente contagia seri giornali e commentatori autorevoli.
Inoltre l’occasione è preziosa per mettere in primo piano tutti coloro che accettano di dichiararsi disgustati dalla sinistra (a qualunque titolo e per le più svariate ragioni, basta dichiararsi disgustati per fare notizia). Si compila alacremente, da più parti, una lista di coloro che non hanno ancora denunciato la sinistra. A nessuno viene richiesto di dichiarare, anche solo per puro desiderio di confronto giornalistico, se e quando abbiano mai dichiarato che cosa pensavano della immensa e costante illegalità del governo di destra, dei suoi ministri e complici e partecipi nel conflitto di interessi, del suo capo, delle continue violazioni della legge, dei continui cambiamenti della legge per essere esonerati dal rendere conto delle azioni illegali.
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Come nella teoria dell’evoluzionismo e del rapporto di discendenza fra uomo e scimmia, c’era però, nel confronto fra la speciale e unica destra berlusconiana e la opposizione di sinistra, un anello mancante. Eccolo finalmente ritrovato dal curioso rimprovero rivolto alla sinistra di essere affetta dal complesso di superiorità morale. L’ammonizione, in sé profondamente corrotta e corruttrice implica questo ragionamento: «Smettete di sentirvi migliori per il solo fatto di non avere mai violato la legge. Il mondo è quello che è». Consente di sentire come diversi, sospetti, ostinati, estremisti, maleducati, radicali, forse terroristi, coloro che, come il compianto e indimenticabile Sylos Labini, non si sono mai dati pace della continua beffa alla legalità e alla legge. Noi, ci viene detto, non dovremmo sentirci diversi da un primo ministro che, nel corso di una conferenza stampa (detta “di Natale”) risponde alla legittima domanda della giornalista de l’Unità nel modo burattinesco che svergognerebbe chiunque, dovunque: sventolando una copia dell’Unità del 1953 con l’annuncio della morte di Stalin e l’elogio del vincitore di Stalingrado, che ha consentito a Roosevelt e Churchill di liberare il mondo dall’orrore nazifascista. L’idea era di accusare la nostra collega Ciarnelli di esser stata partner di Stalin e complice dei gulag. Ci domandiamo se lo storico Luca Ricolfi (autore della tesi sulla sinistra presuntuosa) vorrà restare in compagnia della moralità di Berlusconi. Quanto a noi, ci spostiamo in un piano di normalità e di rispetto che è per forza superiore, non perché qualcuno di noi, a sinistra, sia salito più in alto (o si sia montato la testa, pensando di averlo fatto), ma perché nessuno, mai nessuno, in un Paese democratico, era sceso talmente in basso.
È questo il terzo punto che ci sta a cuore. Se accettiamo di vivere in un paesaggio deformato in cui siamo tutti della stessa pasta, siamo tutti moderati (come si dice con una parola assurdamente fuori posto) e siamo tutti imparziali, equanimi ed equidistanti e siamo tutti sulla stessa barca, e perciò dobbiamo limitarci soltanto a bisbigliare le nostre opinioni diverse, allora non solo viene detratto ogni slancio morale alla lotta politica, ma le elezioni diventano un puro espediente da “club dei dibattiti”, in cui vediamo chi riesce meglio a parole. Tanto i realisti sanno che la vita reale continua sempre allo stesso modo, con la giusta dose di trucchi e di inganni. È in questo paesaggio deformato che si vuole ambientare la frase di Fassino, estrapolata in modo arbitrario da una conversazione ottenuta misteriosamente e pubblicata illegalmente che non giustifica in nulla la presunta enormità dello scandalo. Lo sanno anche Cicchitto e Bondi. Ma i due hanno il grande vantaggio di non avere una reputazione da difendere, e sognano di estendere ad altri questo loro privilegio. Ad essi preme portare un passo più avanti la tesi di Ricolfi. Non solo non avete alcun diritto di sentirvi moralmente superiori, ma dovete dire forte e chiaro che siete uguali a noi.
Qui emerge, e si vede bene, il guasto seminato dal ripetere che certe cose “si possono fare insieme”, il guasto del bipolarismo di cui infelicemente parla, proprio in questi giorni, Mario Monti sul Corriere della Sera. Sarebbe un modo di impiegare insieme i cento giorni di Parlamento che restano, ma anche di fare uguali e alla pari uomini come Berlusconi, Previti, Dell’Utri, Totò Cuffaro. Il guasto è nel fatto che alcuni, anche da sinistra, ci hanno raccomandato a lungo di abbassare i torni ed eventualmente di discutere insieme. Insieme con chi? Con Berlusconi che dice senza imbarazzo di non avere mai intrecciato affari e politica, e fa seguire una serie di accuse penali a Comuni e Regioni “rosse” dopo avere detto fino allo sfinimento che lui non può essere attaccato perché è stato eletto?
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La risposta è stata detta con chiarezza da Alfredo Reichlin su l’Unità del 6 gennaio: «La misura della moralità di un capo politico sta nella capacità di assolvere al compito che la politica mette sulle sue spalle. Oggi questa capacità consiste nel misurarsi con la enorme partita politica e morale che si gioca con queste elezioni, a cominciare dalla necessità di rompere il rapporto incestuoso fra politica e affari».
I leader dei Ds sanno di avere, su questo percorso, non solo il sostegno di coloro che hanno sempre votato a sinistra, ma anche di molta borghesia italiana che non intende essere più a lungo additata come “corrotta” e “illegale” dalle altre destre del mondo, quelle destre normali e legali verso le quali non c’è alcuna ragione di sentirsi superiori. Basti pensare al leader repubblicano del congresso Usa, Tom DeLay che, accusato con prove serie di finanziamenti illegali, si è dimesso prontamente, su richiesta dei suoi stessi colleghi di partito.
Quanto al vanto di Berlusconi, titolare del più grande conflitto di interessi del mondo, di non avere mai intrecciato affari e politica, ci servirà come slogan per le elezioni che si avvicinano, la frase di Romano Prodi: «Uno come lui di affari e politica non può nemmeno parlare».
Ricordiamocene quando qualcuno tornerà a dirci che si devono abbassare i toni, dialogare, e che tutti i gatti sono grigi. Spiace per Ricolfi, ma non lo sono affatto. Ecco come esprime questo concetto il lettore Luciano Comida con una sua e mail appena arrivata all’Unità: « In questi giorni, leggo e sento persone che si dicono disgustate dalla politica e dunque non andranno a votare o, se lo faranno, sceglieranno tappandosi il naso il “meno peggio”. Io no, io non voterò per il “meno peggio”: io voterò, a testa alta e convinto, per il centro-sinistra. Perchè non è vero che “sono tutti uguali”, che “se non è zuppa è pan bagnato”, che “rossi e neri e azzurri sono la stessa cosa”. Io voterò per Prodi perchè sono dalla parte dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, dalla parte della giustizia sociale, dalla parte dei magistrati e non degli affaristi illegali, dalla parte di chi combatte la mafia, di chi sostiene la laicità dello stato, di chi vuole la libertà nella stampa e nell’informazione, di chi non ha nè deve avere il controllo delle tv, di chi difende la legge 180 sulla salute mentale, di chi fa parte delle radici repubblicane nate dalla Resistenza antifascista e antinazista, di chi è dalla parte dei lavoratori e non da quella degli sfruttatori, di chi non ha nè deve avere mostruosi conflitti di interesse, di chi conosce la parole pace libertà giustizia solidarietà accoglienza uguaglianza, di chi vuole un’Europa indipendente e solidale, di chi ha a cuore i disastri ambientali (non per provocarli ma per cercare di sanarli), di chi paga le tasse, di chi non aiuta gli evasori fiscali, di chi non mente cento volte al giorno, di chi non promette cose mirabolanti, di chi proverà a ridare dignità morale e politica all’Italia. Ecco, per questi e per tantissimi altri motivi, il 9 aprile andrò a votare per il centro-sinistra, orgoglioso di tracciare quelle due crocette sulla scheda della Camera e su quella del Senato».
furiocolombo@unita.it
INES TABUSSO