Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Ospedale dell'Università della Florida

Ultimo Aggiornamento: 28/01/2013 15:03
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 203
Sesso: Maschile
18/12/2012 15:47
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Ospedale dell'Università della Florida, dicembre 1977, impiegato di 66 anni, cardiopatico. L'interessante della sua descrizione è il fatto di non aver mai visto un defibrillatore prima di allora:
Mi trovavo in disparte, nei panni di uno spettatore indifferente. Presero il mio corpo e lo adagiarono su di un tavolo. Fu allora che il dottor A. incominciò a percuotermi il petto. Dapprima mi infilarono nel naso dei tubicini di gomma, poi mi poggiarono sul volto una maschera d'ossigeno che mi copriva completamente bocca e naso. Era leggera, di plastica color verde, e veniva premuta sul mio viso.

Avvicinarono il defibrillatore, quello strumento munito delle ventose per lo shock elettrico. L'apparecchiatura presentava una scala graduata, era quadrata e sul pannello principale portava due lancette indicatrici, una fissa e l'altra mobile che si muoveva con estrema lentezza. Durante il primo movimento la lancetta oscillò tra un terzo e metà della scala graduata. Poi al di sopra della metà, infine attorno a tre quarti. Quella fissa, invece, si discostava solamente ogni volta che gli operatori manovravano l'apparecchiatura. Da quello strano oggetto si dipartivano conduttori elettrici a spirale che terminavano in due manopole, portanti dei dischi metallici. I medici me li premettero sul petto con una forza indescrivibile. Vidi il corpo sussultare violentemente.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Pochi giorni dopo, nel gennaio 1978 e nel medesimo ospedale, una guardia notturna di 52 anni, operazione al cuore:
Quando venni condotto in sala operatoria mi trovavo in una condizione di avanzata incoscienza, nella quale non potevo assolutamente rendermi conto di dove stavano conducendomi e dell'ambiente circostante. All'improvviso acquistai coscienza. Mi trovavo, del tutto desto, in una posizione rialzata di una cinquantina di centimetri al di sopra della testa, proprio come fossi stato una persona in più all'interno della sala. Rammento due medici che si affaccendavano attorno al mio corpo. Vidi il dottor C., almeno reputo sia stato lui perché ne scorgevo le mani enormi, praticarmi un'iniezione direttamente nel cuore in almeno due occasioni. La prima da una parte, la seconda dall'altra. Vidi il marchingegno utilizzato per tenere discosti i lembi dell'incisione nel torace; una serie di registrazioni rilevate da strumentazioni elettroniche; e tanti altri particolari. Ma non riuscivo a scorgere tutto... Nell'apertura toracica osservavo un'infinità di attrezzi e strumenti. Le pinze emostatiche erano dappertutto. Rammento di essermi stupito nel non vedere sangue sparso ovunque, come immaginavo sarebbe accaduto. In definitiva ero in grado di guardare ciò che mi stava capitando da una posizione sopraelevata, leggermente dietro la mia testa. Vidi le operazioni di cucitura; alcuni punti vennero applicati internamente, prima di procedere alla sutura della ferita. Lavoravano in due contemporaneamente, uno da una parte e uno dall'altra. A un tratto ebbero qualche difficoltà; superatele, il resto dell'operazione si svolse bene e velocemente. Il cuore non è come l'avevo sempre immaginato. E' più grande. Anche la forma non è quella che pensavo; sembra il continente africano, sebbene un po' più tozzo. In superficie era giallo e rosa... I medici diedero anche un'occhiata a una rete di vene e arterie sulle quali discussero a lungo in merito alla possibilità di creare o meno un by-pass. Sembrava che il problema consistesse in una vena molto larga che si gonfiava, ripiena di sangue, in modo anomalo, e che destava nei chirurghi una certa apprensione. Potevo sentirli discutere animatamente. Non avvertivo alcun dolore e non pensai neanche per un attimo di trovarmi sul punto di morire. Nutrivo nei confronti del dottor C. una fiducia illimitata. Vedevo nitidamente l'attrezzo di metallo, di acciaio lucido e sterilizzato, che serviva a tenere discosti i lembi dell'incisione... A un tratto mi praticarono un'iniezione direttamente in qualche parte del cuore...

Infine una donna di 42 anni, operata di ernia lombare del disco, nel settembre 1972:
All'improvviso, mi parve di destarmi, e mi trovai come fluttuante all'altezza del soffitto. Mi sentivo benissimo, anche se un po' eccitata al pensiero di poter osservare ciò che i chirurghi si apprestavano a fare. La camera era dipinta di verde. Una cosa mi meravigliò subito: il tavolo operatorio non si trovava parallelo a tutte le strumentazioni, bensì era relegato in un angolo. A un certo momento mi domandai come mai non soffrissi o non provassi alcuna pena osservando l'intervento sul mio corpo. I chirurghi erano due. Uno, come venni a sapere dopo, era il primario del reparto di neurochirurgia. Mi feci più vicino per osservare meglio

Grande fu il mio stupore nel vedere fino a quale livello di profondità avevano inciso la mia schiena, e quante attrezzature, pinze e divaricatori contornavano la ferita. Vidi raggiungere la colonna vertebrale con i loro attrezzi chirurgici, ed estrarre lentamente il disco con lunghe pinzette curvate all'estremità. A un certo momento qualcuno si lasciò scappare un'esclamazione di stupore. Tutti si voltarono. Chi aveva parlato, ricorrendo a termini tecnici che non ricordo, gridò che stava succedendo qualcosa e che la mia respirazione si era paurosamente rallentata. Pronunciò parole come "arresto" o "blocco". Poi quasi urlò: - Chiudere! - A quella specie di ordine tutti affrettarono le operazioni, tolsero pinze e divaricatori e presero a cucire in fretta l'incisione.

Notai che incominciarono a suturare partendo dal fondo. Eseguirono la cucitura in modo così rapido da lasciarmi ancora una parte di ferita leggermente aperta sulla schiena. A quel punto mi recai nella hall. Mi trovavo certamente a ridosso del soffitto, perché distinguevo con chiarezza le lampade fluorescenti. Da questo momento in poi non rammento nient'altro, salvo il fatto di essermi finalmente destata in un'altra stanza. Accanto a me scorsi uno dei due medici che mi avevano operata; non l'avevo mai veduto prima, ma lo riconobbi subito.

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Quindi un sunto della testimonianza raccolta personalmente dal sottoscritto, che ne ha registrato l'intervista. Riguarda Giancarlo T'anfani, nato a Roma il 14 giugno 1947, impiegato:
Era l'anno 1956, stavo facendo il bagno di fronte al Lido di Recco. Avevo una di quelle maschere che coprono tutto il viso. Mi trovo sott'acqua. Devo emergere in superficie per respirare ma, incautamente, non mi avvedo che c'è qualcosa sopra di me e urto il capo contro una barca. Subito nessuno si accorge che ho perso i sensi. Per fortuna, poco dopo un bagnino scorge una parte del mio corpo che fuoriesce dall'acqua e si precipita in mio soccorso, ma dopo circa dieci minuti di forzata apnea - sembra dalle successive ricostruzioni che sia trascorso questo tempo - il cuore non batte più. Una suora della clinica Santa Caterina, che si trova proprio sopra la spiaggia, assistendo alla scena, corre subito giù con una bombola d'ossigeno. Nel frattempo vengo trasportato nei locali del Lido e a quel punto arrivano mia madre, la suora e un medico.

Mi viene praticata la respirazione, e dopo aver applicato l'ossigeno e aver eseguito i soccorsi, il cuore riprende a battere. Sono salvo. Ma eccoci al "clou" dell'esperienza extracorporea. Nel momento in cui entra mia madre, io osservo tutta la scena. Mi trovo dalla parte opposta della stanza e vedo, come se mi trovassi esattamente alle sue spalle, mia madre svenire, la suora arrivare con la bombola di ossigeno e il mio corpo sdraiato, completamente nudo, molto scuro, sul lettino. La visione dura poco, forse circa venti secondi, e termina quando la suora con la bombola inizia a lavorare intorno al mio corpo.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Ero gravissimo, in punto di morte per dei problemi di cuore, e contemporaneamente, in un altro reparto dell'ospedale, mia sorella stava morendo di coma diabetico. Lasciai il mio corpo e mi spostai in un angolo della stanza, da dove vedevo tutto dall'alto. Improvvisamente, mi trovai a chiacchierare con mia sorella, che si trovava lassù insieme a me, e alla quale ero molto legato. Eravamo nel pieno di una bella conversazione su quel che accadeva laggiù, quando lei cominciò ad allontanarsi. Cercai di seguirla, ma lei continuava a dirmi di restare dov'ero. "Non è la tua ora - mi disse. - Non puoi venire con me, perché non è ancora il momento". E cominciò a retrocedere lungo un tunnel, lasciandomi solo. Quando mi svegliai, dissi al medico che mia sorella era morta. Dapprima negò, ma poiché insistevo, mandò un infermiere a controllare: come ben sapevo, mia sorella era morta.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Modificato da francocoladarci 28/01/2013 15:03]

“Quando si vuol cercare la verità su una questione
bisogna cominciare col il dubbio.
(S. Tommaso d’Aquino)”

www.esserecattolici.it
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 15:27. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com